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Domenica, 26 Luglio 2015 00:00

FIBRILLAZIONE ATRIALE E MAZE

La fibrillazione atriale è un’aritmia, ovvero un disturbo del ritmo cardiaco, in cui l’impulso elettrico, invece di procedere ordinatamente dal nodo senoatriale, in cui nasce spontaneamente, insorge da focolai multipli, situati negli atri, che ne risultano caoticamente attivati.  
A questo punto, il movimento degli atri, anziché essere ritmico e regolare (80 battiti per minuto, mediamente) diviene vermicolare, con le singole fibre muscolari che si contraggono molto rapidamente, ma disordinatamente, ognuna per proprio conto.  Di fatto, dunque, gli atri risultano nel complesso immobili, privi di funzione propulsiva, per cui il sangue fluisce nei ventricoli per gravità, senza esservi spinto attivamente, mentre nelle auricole, strutture piramidali a larga base dì impianto, una per atrio, anch’esse prive di contrattilità, si formano facilmente coaguli che possono guadagnare (soprattutto a sinistra) la circolazione sistemica, attraverso il ventricolo sinistro, come emboli, provocando ictus.  
La contrazione dei ventricoli è irregolare e avviene quando gli impulsi riescono ad attraversare il nodo atrioventricolare, irregolarmente, con frequenza variabile.
Le immagini seguenti, tratte per lo più da “Netter’s Cardiology”, oltre che dal web esemplificano il rapporto tra fibrillazione atriale e trattamento chirurgico della stessa. 

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Nell’immagine soprastante, il cuore inserito nel torace, in visione anteriore, allo specchio. L’apice è in basso, a sinistra (destra dell’osservatore);  la faccia anteriore (parete anteriore del ventricolo sinistro) è sormontata a destra (sinistra dell’osservatore) dall’auricola destra, di colore blu scuro.  Dalla base, in alto, si staccano da destra a sinistra (dalla sinistra alla destra dell’osservatore), i grossi vasi: la vena cava superiore, blu (che porta il sangue all’atrio destro), l’aorta, rossa (che porta il sangue a tutto il corpo), l’arteria polmonare, blu, che porta il sangue ai polmoni.  Sulla radice dell’arteria polmonare, poggia l’apice dell’auricola sinistra (rossa). 

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Nel disegno a fianco, il cuore in visione anteriore e sezione longitudinale, rimosse le pareti anteriori delle 4 camere e i grossi vasi.  In alto a destra (sinistra dell’osservatore), l’atrio destro (rosa), con il nodo seno atriale (blu) nello spessore del tetto, gli sbocchi delle vene cave superiore e inferiore (blu) e il nodo atrioventricolare  (in giallo, sul pavimento) che prosegue nel sistema di conduzione atrioventricolare  (giallo) che si dirama nei ventricoli, le camere inferiori, a forma di cono rovesciato.  Nell’atrio sinistro (in alto a sinistra, ovvero a destra dell’osservatore) l’atrio sinistro con gli sbocchi delle 4 vene polmonari (rosse), di cui solo 3 qui rappresentate, che portano il sangue dai polmoni. 

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L’immagine a sinistra riproduce la conduzione normale dell’impulso elettrico che nasce nel nodo senoatriale, si propaga ordinatamente negli atrii, fino al nodo atrioventricolare e di qui ai ventricoli.
L’impulso origina spontaneamente a intervalli precisi, normalmente determina un ritmo regolare, detto appunto sinusale per il nodo di partenza e si trasmette alle pareti muscolari delle 4 camere, che si contraggono in sequenza, prima gli atri e poi i ventricoli, per spingere il sangue in aorta, a sinistra e arteria polmonare, a destra.

 

 

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 Attraverso le vene cave, il sangue fluisce dagli organi  periferici all’atrio destro. Di qui, attraverso la valvola tricuspide, al ventricolo destro. Quindi, attraverso la valvola polmonare, all’arteria polmonare.  Quindi: polmoni, vene polmonari, atrio sinistro, valvola mitrale, ventricolo sinistro, valvola aortica, aorta, arterie periferiche, organi periferici, capillari, vene periferiche, vene cave, atrio destro.

 

 

 

 

 

 

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Nelle immagini seguenti, la relazione tra fibrillazione atriale e maze.  
Tutto il cuore, si tratti di tessuto di conduzione o fibre muscolari, è costituito da potenziali focolai di origine di impulsi elettrici di scarica spontanea, propagabile, solitamente silenti e inibiti dall’attività del nodo seno atriale.  
Nella fibrillazione atriale, i focolai elettrici atriali sono innumerevoli, attivi, prendono il sopravvento sul nodo seno atriale, si propagano in ogni direzione e determinano una contrazione caotica degli atri, che risultano funzionalmente fermi e l’irregolarità nella contrazione ritmica dei ventricoli.

Nella prima immagine, in alto a sinistra, le pareti degli atri, con gli sbocchi delle 2 vene cave (blu), delle 4 vene polmonari (rosse), il nodo seno atriale (verde), l’auricola destra, l’auricola sinistra, il sistema di conduzione atrio-ventricolare (bianco).

La seconda immagine, in alto a destra, raffigura la parete posteriore del cuore, in particolare dell’atrio sinistro, con gli sbocchi delle 4 vene polmonari.

La terza immagine, in basso a sinistra, illustra le linee prodotte dai tagli e dalle successive suture (cosiddetto taglia e cuci), con la creazione di cicatrici impermeabili al passaggio di elettricità, volte a parcellizzare l’atrio, creando piccole isole, all’interno di un labirinto (maze, in inglese), in cui l’impulso segua una via obbligata che, dal nodo seno atriale, lo indirizzi al sistema di conduzione atrioventricolare, indisturbato dagli eventuali focolai ectopici attivi, ma finalmente isolati.  

Nell’immagine in basso a destra, il risultato dell’intervento di taglia e cuci su entrambi gli atri, con l’asportazione delle auricole, sedi di focolai ectopici anch’esse, ma, soprattutto, di formazione di coaguli che posso raggiungere la circolazione sistemica, con possibilità di ictus, o polmonare, con possibilità, meno frequente, di embolia polmonare.   

Poiché nella stragrande maggioranza dei casi, i focolai, detti ectopici perché siti in altro luogo rispetto al nodo del seno, segnapassi naturale e fisiologico, si trovano in corrispondenza degli sbocchi delle vene polmonari, si è visto che l’isolamento delle stesse è spesso sufficiente ad ablare ovvero eliminare la fibrillazione atriale.  Ove così non fosse, occorrerebbe aggiungere altre linee di sutura.

I cardiologi iniziarono così a mimare le linee di sutura dall’interno del cuore, anziché dall’esterno, mediante cateteri a radiofrequenza cicatrizzante da dirigere contro le pareti interne dell’atrio sinistro, con passaggio attraverso vena femorale, vena cava inferiore, atrio destro, perforazione del setto interatriale e raggiungimento dell’atrio sinistro (cateterismo cardiaco).   

Nel frattempo, i cardiochirurghi riducevano sempre più le dimensioni dell’accesso al cuore (chirurgia mini invasiva), passando dalla sternotomia, alla minitoracotomia, alla toracoscopia addirittura, con il risultato di accessi puntiformi a consentire l’isolamento delle vene polmonari con una pinza a radiofrequenza e l’esclusione dell’auricola sinistra mediante posizionamento di semplici clips, senza tagliare, né cucire il cuore, pure creando le necessarie cicatrici.  

Le immagini seguenti illustrano diverse tecniche di accesso al cuore.   

 

STERNOTOMIA

 

 

MINITORACOTOMIA

TORACOSCOPIA

 

 

questo articolo è stato scritto da Dott. Antonio Lazzari

Pubblicato in Fibrillazione Atriale
Mercoledì, 14 Gennaio 2015 00:00

Studio Elettrofisiologico

Studio elettrofisiologico endocavitario (SEE)

È un esame che studia il sistema elettrico del cuore, responsabile dell’origine e della conduzione degli impulsi elettrici che permettono al cuore di contrarsi e svolgere la propria funzione.
Quando il sistema elettrico del cuore presenta delle anomalie possono verificarsi aritmie cardiache che possono manifestarsi con un battito troppo accelerato, troppo lento oppure irregolare, causando sintomi quali palpitazioni, difficoltà nel respiro, vertigini, perdita di coscienza.
Questo studio consente la diagnosi precisa del meccanismo e della sede dell’aritmia e rappresenta la base per un corretto trattamento.

Le aritmie cardiache possono essere causate da diversi meccanismi:

  • presenza di una via elettrica anomala;
  • presenza di un circuito elettrico;
  • presenza di un focolaio che scarica impulsi ad alta frequenza o impulsi disorganizzati che fanno contrarre il cuore in maniera rapida e irregolare;
  • cattivo funzionamento delle strutture da cui originano gli impulsi elettrici normali o sinusali, quali il nodo del seno e il nodo atrio-ventricolare.

Le aritmie possono generarsi in diverse sedi del cuore.


PROCEDURA

Cateteri durante uno studio ElettofisiologicoSi introducono delle sonde (cateteri) attraverso la vena femorale e, se necessario, attraverso la vena succlavia, dopo aver somministrato un anestetico locale.
I cateteri vengono spinti fino al cuore sotto la guida dei raggi x e posizionati nell’atrio destro, nel ventricolo destro, nel setto interatriale e nel seno coronarico per registrare l’attività elettrica del cuore.
In particolare, lo studio permette di valutare la presenza e l’esatta origine di ritmi irregolari e di verificare l’efficacia dei farmaci nel controllare le aritmie.
La durata dell’esame è in media di 30-45 minuti.

Al termine in base ai risultati dello studio si possono verificare diverse condizioni:

  • Lo studio elettrofisiologico non evidenzia alcuna aritmia. È possibile che i sintomi non siano dovuti a disturbi del sistema elettrico del cuore.
  • L’aritmia può essere eliminata tramite l’ablazione transcatetere mediante radiofrequenza. Qualora necessaria e possibile, sarà la prima opzione proposta. Nel caso in cui dovesse emergere la necessità d’impiantare un pacemaker o un defibrillatore automatico si procederà all’intervento nella stessa o in una successiva seduta.
  • L’aritmia non può essere eliminata con gli interventi sopra descritti. In tal caso verrà prescritta una terapia farmacologica.

RISCHI E POSSIBILI COMPLICANZE

L’incidenza delle complicanze, pur essendo molto bassa, dipende dai diversi meccanismi e luoghi d’origine delle aritmie, così come dalla presenza di particolari patologie (cardiopatia, scompenso cardiaco, arteriopatia, coagulopatia, etc.).
Le complicanze che si possono verificare con maggiore frequenza sono:

  • Danneggiamento dei vasi attraverso i quali sono introdotti i cateteri (ematoma, tromboflebite, trombosi venosa profonda, fistola artero-venosa, dissezione arteriosa). Queste complicanze sono di solito curabili con terapia medica e riposo a letto e solo raramente richiedono trasfusioni o interventi chirurgici.
  • Danneggiamento del polmone (pneumotorace) che si verifica durante la puntura della vena succlavia sinistra e che talvolta richiede l’applicazione di un tubino di drenaggio.

Le complicanze cardiache si verificano molto raramente e sono:

  • versamento pericardico che generalmente si risolve in breve tempo e con terapia medica; un versamento di notevole entità causato da una perforazione delle pareti cardiache può causare conseguenze più gravi (tamponamento cardiaco, morte) e può richiedere un intervento chirurgico;
  • bradicardia dovuta a danneggiamento del nodo del seno o del nodo atrio-ventricolare (blocco atrio-ventricolare); se persistente e di grave entità necessita di un impianto di pacemaker definitivo;
  • aritmie ventricolari maligne che richiedono cardioversione elettrica e in casi molto gravi possono causare arresto cardiocircolatorio;
  • embolie periferiche dovute alla mobilizzazione di piccoli trombi che possono causare disturbi della circolazione a vari livelli (arti inferiori, rene, cervello).

(fonte: Ospedale San Raffaele)

Pubblicato in Informazioni
Giovedì, 06 Novembre 2014 00:00

La classificazione per la fibrillazione atriale

In passato si tendeva a distinguere tra fibrillazione atriale parossistica (PAF) e fibrillazione atriale cronica (CAF).

Secondo le più recenti linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association/European Society of Cardiology (ACC/AHA/ESC) è necessario distinguere innanzitutto un primo episodio isolato di fibrillazione atriale, indicare se la regressione è stata spontanea o indotta, stabilire se il paziente è sintomatico o meno, tenendo presente che può esserci incertezza nel definire la durata dell’episodio stesso e l’eventuale presenza di episodi misconosciuti in passato.

Quando nello stesso paziente si siano accertati 2 o più episodi, la fibrillazione atriale viene considerata ricorrente. In questi casi, qualora via sia il ripristino spontaneo del ritmo sinusale e gli episodi siano di durata inferiore o uguale a 7 giorni, la fibrillazione atriale ricorrente viene designata come parossistica; nel caso in cui gli episodi abbiano durata superiore a 7 giorni e/o il ripristino del ritmo sinusale abbia richiesto un trattamento di cardioversione farmacologica o elettrica, la fibrillazione atriale ricorrente viene designata come persistente. Nei casi in cui la cardioversione elettrica non sia stata tentata o sia stata inefficace e il paziente permanga in fibrillazione atriale, si parla di fibrillazione atriale permanente.

Questa classificazione prende in considerazione tutti gli episodi di fibrillazione atriale di durata superiore a 30 secondi e nei quali non sia riconoscibile una causa reversibile. I casi secondari a condizioni precipitanti quali infarto miocardio acuto,  chirurgia cardiaca, miocardite, ipertiroidismo e malattia polmonare acuta vengono considerati separatamente: in questi pazienti il trattamento della patologia di base associato al trattamento dell’episodio di fibrillazione atriale di solito determina la risoluzione dell’aritmia.

Pubblicato in Fibrillazione Atriale
Giovedì, 06 Novembre 2014 00:00

La sintomatologia della Fibrillazione Atriale.

I sintomi variano con la frequenza ventricolare, con il sottostante stato funzionale, con la durata della fibrillazione atriale e con la percezione individuale del paziente.

Il disturbo del ritmo può avere come prima manifestazione una complicanza embolica o l’esacerbazione di un’insufficienza cardiaca sottostante.
I sintomi principali che il paziente avverte sono palpitazioni, dolore toracico, dispnea, affaticamento. L’aumentato rilascio di peptide natriuretico atriale può essere associato a poliuria.

La fibrillazione atriale può portare a cardiomiopatia tachicardia-indotta, specialmente in pazienti che non si accorgono di essere affetti da aritmia.
La sincope è un evento raro ma grave, che di solito indica una eccessiva diminuzione della risposta ventricolare, l’associazione di stenosi valvolare aortica o di una cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, un accidente cerebrovascolare o la presenza di una via di conduzione atrio-ventricolare anomala.

Sebbene certamente l’ictus cerebri costituisca la complicanza più temibile della fibrillazione atriale, anche lo stesso disturbo del ritmo è in grado di diminuire la qualità della vita dei pazienti affetti, sia in termini di impedimento funzionale – valutato secondo la classificazione funzionale della New York Heart Association (NYHA) – sia come fastidiosa irregolarità del ritmo cardiaco associata a palpitazioni.

L’utilizzo di una terapia anticoagulante orale, che costringe il paziente a frequenti esami del sangue per regolare la dose di farmaco da assumere, è un altro fattore che ha importanti implicazioni sulla qualità della vita dei pazienti in fibrillazione atriale. Alcuni studi mostrano che di 97 pazienti solo il 61% ha preferito seguire la terapia anticoagulante proposta piuttosto che non assumere la terapia, dunque una percentuale decisamente inferiore a quella per cui il trattamento è raccomandato secondo le linee guida più recenti.

Pubblicato in Fibrillazione Atriale

Fibrillazione Atriale – a cura del dott. Stefano Benussi  - cardiochiurgo


La fibrillazione atriale e’ un’aritmia cardiaca caratterizzata da una completa irregolarità dell’attivazione elettrica degli atri, due delle quattro camere cardiache. In presenza di tale anomalia, le normali contrazioni atriali vengono sostituite da movimenti caotici, completamente inefficaci ai fini della propulsione del sangue. Inoltre il battito cardiaco diviene completamente irregolare.

La fibrillazione atriale e’ la piu’ comune fra le aritmie cardiache, con una prevalenza dello 0.5% nella popolazione adulta.

Il rischio di esserne affetti aumenta con l’eta’: la percentuale dei pazienti affetti sale al 5% oltre i 65 anni. Tale aritmia e’ poi piuttosto comune nei pazienti con altre patologie cardiocircolatorie, come l’ipertensione arteriosa, la malattia coronarica, ma soprattutto le malattie valvolari: fra il 30 e l’80% dei pazienti operati per malattia della valvola mitrale giungono all’intervento in fibrillazione atriale.

 

La fibrillazione atriale puo’ essere cronica, ovvero continua, persistente oppure parossistica, con episodi di durata variabile da pochi secondi ad alcune ore o giorni.

Essa e’ causa di un significativo aumento del rischio di complicazioni cardiovascolari e di una riduzione della sopravvivenza a distanza.

Provoca inoltre una riduzione della tolleranza agli sforzi, causata da un’efficienza subottimale della contrazione del cuore, con sintomi quali palpitazioni, affaticamento e mancanza di fiato. Infine, il ristagno di sangue nelle camere atriali “paralizzate”dall’aritmia, favorisce la formazione di coaguli all’interno del cuore ed il rischio di fenomeni embolici come l’ictus cerebrale. Per questo motivo i pazienti con fibrillazione atriale vengono solitamente trattati con farmaci anticoagulanti.

Per quanto riguarda il trattamento, vi sono due possibili strategie:

1) la cardioversione, o conversione al ritmo cardiaco normale ed

2) il semplice controllo della frequenza cardiaca. Solo la conversione ed il mantenimento di un ritmo normale, anche detto “sinusale”, permettono pero’ di minimizzare i sintomi ed i rischi descritti, oltre a consentire l’interruzione della terapia cronica con farmaci anticoagulanti.

Il mantenimento del ritmo sinusale e’ pero’ molto spesso difficile.

I farmaci antiaritmici deputati a tale scopo sono frequentemente inefficaci e sono spesso causa di effetti collaterali anche piu’ gravi della stessa fibrillazione atriale.

La fibrillazione atriale, e’ una patologia a lungo sottovalutata in passato, della quale si stanno recentemente chiarendo le gravi implicazioni cliniche. Pertanto i moderni sviluppi nel suo trattamento chirurgico e transvenoso sono attualmente motivo di grande interesse per la letteratura scientifica internazionale.

A causa di una generale disinformazione, molti pazienti attualmente non sono a conoscenza della reale importanza del problema, e soprattutto delle moderne possibilita’ terapeutiche.

Recenti sviluppi hanno consentito di trattare la fibrillazione atriale mediante ablazione con radiofrequenza.

Si sono infatti individuate nell’ambito della parete atriale delle zone responsabili dell’inizio e del mantenimento dell’aritmia, in prossimitàdello sbocco negli atri delle grosse vene provenienti dai polmoni. Creando delle bruciature con cateteri a radiofrequenza, tali aree di instabilitàpossono essere neutralizzate.

Con procedure di questo tipo e’ possibile trattare virtualmente ogni paziente affetto da fibrillazione atriale con ottime probabilita’ di successo.

In caso di fibrillazione atriale associata ad una malattia cardiaca di altro tipo si procede ad ablazione dell’aritmia durante l’intervento cardiochirurgico necessario per corregere la cardiopatia di base. In questo modo, oltre ai benefici dell’intervento correttivo a cuore aperto, il paziente potra’ giovarsi anche del recupero del normale ritmo cardiaco e potra’ in molti casi evitare la terapia anticoagulante cronica.

Nel caso in cui invece la fibrillazione atriale sia isolata, non associata ad altre malattie cardiache suscettibili di correzione chirurgica, la procedura piùcomunemente utilizzata équella con ablazioni con radiofrequenza per via transvenosa: il catetere da ablazione con radiofrequenza raggiunge il cuore attraverso il sistema venoso; quindi con una semplice puntura di una vena in regione inguinale si possono eseguire le bruciature sulla superficie interna degli atri.

Esistono anche opzioni chirurgiche per i pazienti con fibrillazione atriale isolata. Esse rientrano sostanzialmente in due categorie:

- ablazione “aperta” con tecnica maze

- ablazione toracoscopica, a torace chiuso

Pubblicato in Fibrillazione Atriale