Cardioversione farmacologica (CVF)
La CVF è una procedura terapeutica che generalmente viene eseguita in PS o nel reparto di aritmologia dell’ospedale e consiste nell’iniettare dei farmaci antiaritmici (amiodarone o flecanide) per endovena.
Questi farmaci agiscono sulle proprietà elettriche del cuore per eliminare l’origine dell’attività irregolare consentendo il ristabilirsi di un ritmo regolare.
D’abitudine la CVF viene eseguita in due tempi: una prima fase in cui viene iniettato in vena il cosiddetto “carico” (cioè un certo quantitativo di farmaco erogato in un tempo relativamente breve: circa 30 min.) seguita da una seconda fase, detta di “mantenimento”, durante la quale si inietta in vena un quantitativo di farmaco che viene erogato molto lentamente (circa 12 ore).
Durante questa procedura il paziente viene costantemente monitorato e, al suo termine, il paziente viene trattenuto in ospedale e monitorato ancora per alcune ore prima di essere dimesso.
Cardioversione elettrica (CVE)
La CVE è una procedura mediante la quale viene erogata al cuore (per mezzo di elettrodi speciali o piastre applicati al torace del paziente e collegati ad un defibrillatore esterno) una scarica elettrica di determinata potenza allo scopo di interrompere ogni attività elettrica irregolare del cuore e di ripristinarne il ritmo.
La CVE, che dura pochi minuti, viene eseguita in ospedale, previa sedazione del paziente, generalmente nel Laboratorio di Elettrofisiologia o, in casi d’urgenza/emergenza, al Pronto Soccorso.
Attraverso un defibrillatore collegato agli elettrodi o piastre applicati al torace del paziente, l’aritmologo eroga una scarica elettrica (ad un preciso livello di energia) che attraverso il torace si trasmette al cuore.
Alcune volte può succedere che la prima scarica non ottenga l’effetto desiderato, in tal caso nella stessa seduta vengono eseguiti altri tentativi con l’erogazione di altre scariche a livelli più alti di energia.
Anche durante questa procedura il paziente viene costantemente monitorato e normalmente si risveglia, dopo pochi minuti, in ritmo cardiaco e può tornare a casa dopo poche ore, sempreché non venga trattenuto per accertamenti o ricoverato.
E’ da precisare che, in presenza di aritmie, gli atri non si contraggono uniformemente e ciò può portare al ristagno di sangue negli atri con il rischio di formazione di coaguli che, nel corso della CVE, potrebbero staccarsi ed entrare in circolo provocando esiti drammatici come l’ictus.
Per questa ragione, se il paziente non è già sottoposto a terapia anticoagulante (warfarin, eparina o pradaxa) con un valore di INR compreso tra 2 e 3, la CVE deve essere pianificata sottoponendo il paziente ad un trattamento anticoagulante per circa un mese per ridurre il rischio di ictus e, sempre per tale motivo, la CVE viene generalmente preceduta da uno speciale esame detto “ecocardiogramma transesofageo”, della durata di circa 20 minuti, per scovare o escludere la presenza di coaguli.
E’ evidente che se questo esame rileva la presenza di coaguli, il paziente viene rimandato a casa con la prescrizione di una terapia anticoagulante.
In alcune strutture ospedaliere, però, questo esame non viene sempre effettuato: ciò può accadere se l’intervento è stato programmato e quindi il paziente è notoriamente in trattamento con farmaci anticoagulanti da almeno un mese e il valore del suo INR, in tale periodo, è sempre stato superiore a 2, oppure se lo stesso è in grado di dimostrare di essere adeguatamente scoagulato presentando la scheda tecnica rilasciata dal Centro di terapia anticoagulante (Centro TAO) che lo segue.
Tuttavia, se l’aritmia è insorta da meno di 48 ore, la CVE può essere eseguita anche senza trattamento anticoagulante perché occorrono molte ore prima che si formino i coaguli.